Correva l’anno 2001, quando individuai e classificai come “show-window” l’ennesima tipologia ludica. Non a caso, accadde poco dopo la prima edizione italiana del Grande Fratello televisivo, terminata il 21 dicembre 2000. Grazie a quel reality, primo di una lunga serie, anche la gente comune iniziò a voler essere protagonista. Sempre e comunque.
Da allora, la casalinga di Voghera non si limita ad assistere allo spettacolo, ma pretende di farne parte integrante. I ragazzi non accettano più di rimanere imbambolati a guardare le cubiste, ma si aspettano di poter ballare con loro, sotto un cono di luce. Le rappresentanti del gentil sesso non si accontentano di chiedere l’autografo ai calciatori, ma vogliono assolutamente prendere posto intorno allo stesso tavolo.
L’imprenditore rampante non sente il bisogno di legarsi alla ragazza di buona famiglia, ma va alla ricerca di una fidanzata “mediatica”, che lo possa favorire nel lavoro. Le famiglie non si recano in spiaggia per prendere il sole e fare il bagno, ma per sentirsi partecipi di una sorta di villaggio on the beach, ove palesare la propria cultura in area biblioteca, il corpo in zona palestra, il buon gusto presso il mercatino etnico, la mira nel campo da golf e lo stato psicofisico nel centro benessere.
Insomma, lo “show-window” nasce come luogo da frequentare per guardare e, soprattutto, farsi guardare, in virtù di quell’irrefrenabile voglia di protagonismo, che pare aver contagiato l’universo.
Nei “locali-vetrina” non è tanto importante ciò che si mangia, beve, balla o ascolta, ma l’atmosfera che si respira, la gente che c’è, il tasso di riconoscibilità di chi ci sta accanto, la visibilità che se ne ricava. Perché essere scorti da uno o più amici, pronti a testimoniare urbi et orbi la nostra capacità di essere al posto giusto nel momento giusto vale più di qualsiasi altra cosa al mondo. Giova alla propria immagine, termine sacro della società odierna.
Alla base delle cui, ultime metamorfosi sociali c’è un fenomeno identificabile come “vetrinizzazione” e riconducibile all’attuale, dissennata supremazia della sfera dell’apparire su quella dell’essere.
A volerne spiegare i prodromi dovremmo discettare di Prima e Seconda Rivoluzione Industriale, di baratto e “Passages” parigini, ma anche tirare in ballo Walter Benjamin che, già negli Anni ‘30, vedendo la merce messa su un piedistallo come opera d’arte da ammirare e valorizzare ne sottolineò la “trasfigurazione del valore d’uso”.
Ma lo spazio è tiranno, ragion per cui rimaniamo ai giorni nostri, notando come la vetrina abbia via via esasperato la sua funzione di messa in scena del prodotto, che non può più essere visto solo sotto forma di merce. Al contrario, sono ormai gli esseri umani a rivendicare il ruolo di attori principali della rappresentazione. Da qui alla nascita ed al proliferare di una nuova forma di turismo il passo è breve.
Un turismo tematico sì, ma diverso da tutti gli altri, perché fortemente crossover. Ossia, in grado di coinvolgere viaggiatori di età, cultura, estrazioni e categorie sociali assolutamente disomogenee. Un turismo teso a titillare l’ego del sempre maggior numero di persone pronte a strizzare l’occhio più al super-ego che all’es. Dicesi Ego-Turismo, il “migrare compulsivo verso le località-vetrina”. Località riccamente dotate di show-window, ragion per cui ambitissime da chi può respirare l’aria da reality, anche solo passeggiando per la via principale.
L’incontro, lo scambio di parole, la foto e l’aneddoto di stampo gossip da raccontare o mostrare al ritorno a casa sono sempre dietro l’angolo. Tutta manna per l’Ego-Turista, convinto di poter trarre linfa vitale da vampate di luce riflessa. Esempio sintomatico, la folla che si crea sulle banchine di Porto Cervo, ogni sera di agosto, intorno alle 21.00: nonne, mamme, papà in ciabatte e bambini intenti a spiare gli ospiti degli yacht ancorati al molo… Attenzione, però. La qualifica di “località-vetrina” non deve assolutamente essere considerata acquisita nel tempo.
Anzi, tutt’altro.
Basta un’ordinanza sbagliata per spiagge o rifugi alpini, un cambio di rotta sugli orari, una diversa regolamentazione di ordine pubblico o parcheggio, una debacle di qualche gestione vincente per far sì che gli itinerari dei trendsetter cambino in modo repentino.
E con loro quelli degli innumerevoli seguaci. Santa Margherita Ligure, Palinuro, Riccione, Fregene, Sant’Antioco, Capalbio, Santa Maria di Leuca, Argentario, Ischia, Terminillo, Abetone e Etna sono solo alcune delle zone che hanno potuto verificare le oscillazioni dell’Ego-Turismo sulla loro pelle.
Magari, senza essersene rese perfettamente conto. Del resto, le variabili del sistema sono innumerevoli: basti dire che per salire alla ribalta come “località-vetrina” occorre un’amministrazione pubblica disposta a lavorare fianco a fianco con imprenditori illuminati e che per praticare l’ego-turismo il reset mentale deve essere quantomeno stagionale.
Ma chi opera, pianifica, comunica e organizza con cura ne può ricevere vantaggi immediati, innegabili. Anche su fronti impensabili, di primo acchito. Detto ciò, secondo voi le Isole Eolie si possono considerare meta ideale per ego-turisti? La situazione è chiara, ma mi farebbe davvero piacere ricevere le vostre considerazioni in merito.
Nel frattempo, buone vacanze!
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EGO-TURISMO!
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Secondo voi le Isole Eolie si possono considerare meta ideale per ego-turisti?
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Roberto Piccinelli
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